Pietransieri, un ricordo dell’estate nel cuore dell’inverno di Rosaria Alterio

A Pietransieri, quota 1339 sul l/m, frazione di Roccaraso, non si festeggia solo il Santo Patrono, ma, in qualche modo, ogni giorno della bella stagione, dopo il lungo, gelido inverno. E se incidentalmente quell’anno l’estate non è proprio bella, proiezioni di film e concerti in piazza, le serate danzanti che offrono a turno i due bar, sono quasi riti propiziatori per invitare il caldo a farsi strada. Non ci sono impennature invernali che possano far retrocedere gli alpini dall’offrire una cena sotto agli stand, lì, in pianta stabile, per tutta l’estate. Serviranno anche per le varie sagre, che ora dilagano dappertutto, ma che la loro progenitrice doveva essere proprio di quelle parti!
Se poi c’è una motivazione più logica e razionale per festeggiare, ben venga! Così, una volta, per i Mondiali di calcio, il maxischermo installato in piazza, gasò sportivi locali, limitrofi e turisti le cui urla si sentirono fino giù, ad Ateleta.
La soave serenata a una sposa, qualche giorno prima delle nozze, tiene desti e fa sognare per un po’, nella notte, i vicini. Del dolce revival di quel gruppetto di amici che quell’anno festeggiarono in comune e all’aperto naturalmente i loro splendidi cinquant’anni, se ne parla ancora adesso. Qualche apprensione può darla la pioggia proprio la serata della festa religiosa quando sul palco faraonico deve apparire il cantante di turno: un cantante che va sempre per la maggiore e che costa molto, anzi troppo. Ci si stupisce come un paesino con una manciata di abitanti possa permetterselo, evidentemente il comune di Roccaraso non bada a spese per la sua unica frazioncina! Il programma di agosto prevede, e non potevano mancare, intriganti mercatini. In uno di questi, in bella mostra, trovai, tra angioletti e cappellini per bambole all’uncinetto, un libro che mi incuriosiva e che non ero riuscita a trovare altrove, “Cime Tempestose”. Scoprii successivamente e per caso che la pittoresca villetta, proprio ai piedi della pineta, e costruita nel dopoguerra, porta il nome di questo romanzo che fece furore proprio in quel periodo.
Mi piacerebbe ora soffermarmi un attimo sulla “gara della pittera” (sfoglia di farina) che nella fantasia dei giochi che si rinnovano e tra giostrine e spettacoli di animazione, è la più tradizionale. E’ servita da sempre, non solo a riempire un pomeriggio “ufficialmente” festivo per religiosità, ma a creare un autentico, genuino spaccato di divertimento. Dire gara non è proprio esatto perché alla fine la borsetta di carta, con la coccardina colorata, contenente sempre qualcosa di carino, c’è sempre per tutti, uomini compresi. Non è raro infatti vedere robusti montanari alle prese con matterello, uova e farina… Il tempo è stabilito dal regolamento. Non circolano suonatori itineranti, come di solito si vedono in queste manifestazioni, perché i commenti esilaranti e le focose incitazioni che si scambiano ad alta voce i fedeli fans dei vari partecipanti devono essere fruibili dal pubblico. Accompagnano la “premiazione finale” telegrafiche e azzeccate motivazioni personali anche se qualche risultato non è stato dei più esaltanti. Ho sentito, per chi la sa lunga in fatto di sfoglie, che quella volta era “luminosa e trasparente come il sole”.
Altre volte, per quella “sfrangiata” dell’adolescente, “che somigliava a una farfalla”. Per quella invece, del turista di passaggio che “somigliava a una pittera, ma prometteva bene”. Non mancava quella “fatta col compasso” e qualche altra “a forma di luna al primo quarto”. Per quella invece che “presentava dei buchi”, si diede la colpa all’ozono.
L’organizzatore si autoinvitò un anno a casa delle artefici di tutte le sfoglie promettendo di tenere bene aggiornato il suo carnet.
Tale manifestazione non conserva l’immobilità della tradizione, ma ogni volta ha un suo “fiore all’occhiello”, né programmato, né previsto che sboccia colorato e spontaneo come i fiori della montagna, proprio dietro casa. L’estate scorsa, ad esempio, (e questo è il ricordo nello specifico del titolo) “Maria di Vinicio” (Vinicio era il marito), “prima donna” della “pittera”, “da quando era verde la sua valle”, ora seduta dietro a un tavolino, “dettava”, tra consigli e rimproveri, la “sua pittera” (che non poteva più lavorare personalmente per sopraggiunte difficoltà fisiche dovute all’età) al nipote… Costui, bello, alto, aitante, ubbidiva alla sua grande nonna, ora blandendola, ora fingendosi offeso e anche minacciandola di piantare tutto lì… in un formidabile duetto di amore e simpatia. In quella partecipazione variegata di personaggi questa performance di nonna e nipote fu una vera gioia per gli occhi e per il cuore.
Ricordo anche, in qualche edizione del passato quando, a un solitario accenno alla vecchia canzone, “La figlia mea”, seguì un vigoroso coro:
“E quande la figlia mea facéve le sagne,
re sclucche se sentivane alla muntagna
e core de la mamma, e de la mamma sea,
massera vè la bbanda e ze porta la figlia mea.
E quande la figlia mea facéve ru sughe“
…
E quando invece, inesorabile, alla fine di agosto, cala il sipario sull’euforia estiva, il gruppetto di noi venafrani, fedeli da tempo di questo paesino, prende la via del ritorno. – Alla prossima – ci salutano calorosi e sinceri gli amici del posto. Da parte nostra, con altrettanto affetto e simpatia con l’immancabile, ormai fatidico “Megl ‘a tiemp”.
Lasciamo il paese immerso di colpo in un silenzio e una solitudine glaciali che però non sgomentano perché vi avverti una sorta di raccoglimento e di preghiera per eventi di tutt’altro genere che Pietransieri, medaglia d’oro al valore militare, conserva e custodisce nel proprio cuore e che si appresta ad esternare nella storica fiaccolata di novembre.
Rosaria Alterio
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