Il fondamentale ruolo del Fingerprint Analyst nelle Scienze Forensi

Nelle scienze forensi, precisamente nella branca della dattiloscopia, lo studio delle minuzie identificative delle impressioni papillari ossia quelle digitali, palmari e plantari, rappresenta il fulcro dell’identificazione personale. I punti d’identità presenti e riscontrabili sulla pelle rappresentano le caratteristiche microscopiche uniche di ciascun dermatoglifo la cui disposizione varia sia intra che interpersonalmente; alcuni esempi possono essere i termini di linea, biforcazioni, linee, laghi, isole, ponti, uncini, doppie biforcazioni e le triforcazioni.
Nell’identificazione forense la loro importanza è cruciale sia per motivi tecnici che scientifici:
- Elevata specificità: le creste papillari, separate dai solchi, si dispongono in serie regionali di fasci sottili e fissi, rettilinei o curvilinei, formando una serie di disegni papillari comuni ai diversi individui ma con particolarità e punti caratteristici distribuiti in maniera del tutto casuale che andranno a conferire a ciascuna impronta papillare un certo grado di unicità.
- Immutabilità nel tempo: le minuzie si formano durante la gestazione attraverso movimenti aleatori e non si modificano per l’intera vita dell’individuo, ad eccezione di traumi che provochino cicatrici, abrasioni delle creste papillari dovuti a lavori usuranti o casi patologici.
- Alto potere discriminatorio: la differenza principale tra le minuzie e le caratteristiche macroscopiche, come l’orientamento e la densità delle creste epidermiche, risiede nel fatto che le prime costituiscono un codice biometrico unico per ogni individuo e pertanto presentano una significativa variabilità interindividuale tanto che, anche tra gemelli omozigoti, la probabilità che essi possiedano un pattern digitale identico è sostanzialmente nulla.
- Principio scientificamente accettato: il sistema di riconoscimento e identificazione forense, attualmente in uso alle forze di polizia, dalla banca dati AFIS e generalmente accettato dalla comunità scientifica nelle pratiche internazionali, si esegue attraverso l’impiego delle impronte digitali e si basa su di una analisi comparativa di tipo quali-quantitativa delle minuzie identificative.
- Autenticazione forense: lo studio delle impronte e soprattutto dei punti caratteristici quali mezzi per eseguire una identificazione, sia preventiva che giudiziaria in procedimenti penali, sono ampiamente riconosciuti come elementi di prova oggettivi che soddisfano i criteri di ammissibilità delle evidenze tecnico-scientifiche previste dagli ordinamenti processuali.
Nell’approccio tradizionale di identificazione forense del sistema AFIS, utilizzato dalle forze dell’ordine, è prevista la comparazione diretta di quattro importanti fattori:
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Il numero delle minuzie riscontrate sull’impronta posta sotto indagine e di quella presa come confronto deve essere corrispondente, inoltre i punti d’identità devono coincidere sia per forma che per posizione, tenendo conto anche dell’orientamento che deve essere equivalente tra le impressioni papillari confrontate.
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Valutare la qualità dell’impronta digitale stabilendo se vi sono sovrapposizioni e se le creste cutanee sono congruenti tra di loro o se l’impressione è parziale indicando che zona è possibile apprezzare ed analizzare.
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Saper riconoscere eventuali anomalie significative come cicatrici, stabilendo se esse siano temporanee o permanenti, pieghe cutanee o lesioni.
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Analizzare e considerare il contesto forense in cui l’impressione è stata repertata, ponendo particolare attenzione a parametri esterni come le condizioni ambientali, le modalità di acquisizione eseguite e la rilevanza probatoria del dato raccolto.
Questi sono gli elementi necessari per condurre una identificazione dattiloscopica in ambito forense che sia oggettiva e affidabile. Non bisogna però dimenticare il lavoro che viene svolto dal Fingerprint Analyst; difatti egli non si limita ad eseguire un mero conteggio dei punti caratteristici corrispondenti bensì associa la sua personale esperienza e intuizione ad un approccio qualitativo di contestualizzazione basato su metodologie scientifiche.
È il Fingerprint Analyst che valuta, unendo la sua personale competenza tecnica ad un’analisi scrupolosa e attenta, le impressioni papillari per giungere ad una identificazione forense.
Infatti, egli:
- Inizia la sua analisi individuando che tipologia di impronta papillare è posta in analisi e successivamente dovrà valutare la qualità dell’impronta stabilendo la sua completezza o al contrario la sua parzialità e la quantità di informazioni che la stessa fornisce distinguendo eventuali contaminazioni e come essa sia stata lasciata sulla superficie oggetto.
- Procede la sua analisi visiva con l’aiuto di lenti d’ingrandimento contafili identificando e al contempo confrontando i punti caratteristici tra l’impronta rinvenuta sulla scena e quella del soggetto di interesse osservando due aspetti principali ovvero tolleranza e probabilità. L’identificazione deve essere eseguita con metodo scientifico ovvero la procedura ACE-V (Analysis, Comparison, Evaluation, Verification).
- Redige una relazione tecnica conclusiva che dovrà essere dettagliata e il più possibile esaustiva, corredata da materiale visivo permettendone la comprensione alle parti in giudizio e ovviamente deve essere in grado di compendiare l’intera attività tecnica svolta e il processo identificativo avvalendosi di dispositivi strumentali quali ad esempio Photoshop, al fine di migliore la qualità delle immagini senza modificarne il contenuto, creando solamente un contrasto cromatico più considerevole e agevolmente distinguibile tra creste papillari e solchi cutanee.
L’importanza della figura del Fingerprint Analyst è quella di rendere l’impronta repertata sulla scena del crimine o analizzata in un laboratorio forense utile ai fini comparativi e identificativi al fine di agevolare le valutazioni in sede processuale del Giudice.
All’interno del nostro sistema processuale penale, infatti, assistiamo ad una sempre maggiore interazione tra scienza e diritto ovvero tra sapere scientifico e sapere prettamente giuridico-amministrativo. È lo stesso codice di rito penale, del resto, a prevedere espressamente che il Giudice possa avvalersi dell’ausilio e dell’expertise del tecnico-perito qualora sia necessario porre in essere valutazioni che esulano dall’orizzonte ermeneutico in possesso dell’organo decidente.
In questo rapporto di compenetrazione funzionale tra scienza e diritto, viene naturale domandarsi quale debba essere l’effettivo “peso” che assumono la consulenza e più in generale il sapere tecnico del perito nell’accertamento della verità processuale. Potrebbe infatti sembrare un vero e proprio paradosso che il giudice, da soggetto totalmente estraneo al sapere tecnico (tanto da richiedere l’“ausilio” al perito o al consulente tecnico), possa poi liberamente valutare ed apprezzare quel sapere di cui prima era ignaro.
Tuttavia, ad uno sguardo ben accorto il “paradosso” appena prospettato non è altro che una semplice e mera congettura. Non può farsi a meno di rilevare che una volta transitato nel processo penale il sapere scientifico cessa di avere una “vita” propria e diviene parte coessenziale dell’accertamento giudiziale. Sebbene il contenuto di un elaborato tecnico resti di esclusiva titolarità del perito che lo ha redatto, è tuttavia necessario considerare le modalità attraverso le quali la prova scientifica entra nel processo e viene valutata dal giudice.
A tale riguardo la giurisprudenza di legittimità, a più riprese, ha offerto dei contributi centrali in tema di valutazione della prova scientifica. Anzitutto un ruolo centrale è stato ricoperto dalla nota sentenza delle Sezioni Unite Franzese del 2002. In tale pronuncia i giudici di legittimità hanno avuto modo di ridefinire i rapporti tra sapere scientifico e processo penale. Nel dettaglio, la Corte di Cassazione è giunta a rilevare che nella valutazione di validità della legge scientifica è necessario porre in essere un giudizio di «elevata probabilità logica» o «alto grado di credibilità razionale» della stessa. È il giudice, in altre parole, a vagliare attivamente la fondatezza della regola scientifica attraverso un giudizio di elevata probabilità logica formulato in concreto, attraverso tutte le risultanze processuali e le peculiarità del caso concreto.
Non solo. Un altro importantissimo passo in avanti nella ridefinizione dell’efficacia probatoria delle leggi scientifiche nel processo penale è dato dalla sentenza Cozzini del 2010 che ha “recepito” nel nostro ordinamento principi di diritto già espressi dalla giurisprudenza statunitense nella nota sentenza Daubert, pronunciata dalla Suprema Corte degli USA del 1993. Nel dettaglio, la Corte di Cassazione ha rilevato che per valutare l’attendibilità di una teoria occorre esaminare: gli studi che la sorreggono, le basi fattuali su cui essi sono condotti, l’ampiezza, la rigorosità, l’oggettività della ricerca, il grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi, la discussione critica che ha accompagnato l’elaborazione dello studio, focalizzata sia su fatti che mettono in discussione l’ipotesi sia sulle diverse opinioni che nel corso della discussione si sono formate e l’attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica. Deve trattarsi, cioè, di una teoria sulla quale si registra un preponderante, condiviso consenso scientifico.
Dott. Jonathan Le Donne – PhD in Dattiloscopia Forense
Rachele Nannini Laureanda in Scienze forensi e investigazione criminale
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